Masini: “Noi non lasciamo il Paese restiamo accanto ai malati”


New York. «Sapevamo che il momento period delicato, perché caratterizzato da forte crisi economica e da instabilità politica, ma che potesse verificarsi tutto questo non ce lo aspettavamo. Noi rimaniamo per garantire la continuità delle remedy ai nostri pazienti». È perentorio Franco Masini, primario a Parma fino al compimento dei 62 anni e da un decennio coordinatore medico del Centro Salam di cardiochirurgia di Emergency a Khartoum. Parla nel giorno in cui 7 operatori dell’organizzazione fondata da Gino Strada sono stati evacuati su loro richiesta col convoglio organizzato dall’ambasciata italiana. Finora nessuna delle strutture è stata attaccata o minacciata direttamente. E nessuno dello employees. Chi ha voluto ha deciso se lasciare l’ospedale sulla base della valutazione delle precarie condizioni di sicurezza della capitale e dei bisogni dei pazienti. Emergency è presente in Sudan con il polo di cardiochirurgia a Khartoum e con i centri pediatrici di Mayo (Khartoum), Nyala (Sud Darfur) e Port Sudan dove offre remedy gratuite ai minori di 14 anni. Oggi rimane chiuso l’ospedale pediatrico di Mayo, alle porte della capitale, dove «non sarebbe stato possibile garantire alcuno commonplace di sicurezza né per lo employees, né per i pazienti». In tutti gli altri centri le attività proseguono.


Come è andata l’evacuazione?

«Dei sette operatori di Emergency che hanno scelto di tornare in Italia, tre di loro avevano già programmato il rientro, ma erano stati bloccati qui in Sudan dall’inizio degli scontri. Altri 46 operatori internazionali di Emergency, invece, hanno deciso di rimanere e proseguiranno il loro lavoro negli ospedali di Khartoum, Nyala e Port Sudan».

Come è il morale?

«Sono giorni estremamente difficili e di grande tensione a Khartoum, ma abbiamo deciso di restare qui per gli 81 pazienti in cura nel nostro ospedale. Non possiamo abbandonarli perché rischierebbero la vita. Tuttora molti colleghi dello employees sudanese non possono tornare a casa per motivi di sicurezza e stanno dormendo in ospedale per dare continuità di cura a pazienti ricoverati».

Ci descrive la situazione nella capitale?

«La situazione è cambiata poco, un paio di giorni i combattimenti sono stati più ravvicinati rispetto alla struttura dove noi operiamo, tra l’altro proprio in corrispondenza dell’annunciata tregua. Adesso sentiamo qualche colpo più da lontano in coincidenza dell’Eid, la festa di superb Ramadan».

Qual è la maggiore difficoltà?

«Abbiamo problemi significativi nella gestione del personale. C’è chi è rimasto qui cinque o sei giorni senza muoversi e ci sono mutamenti veloci nella mappatura dei combattimenti in città. Una zona che magari è libera adesso fra due ore non lo è più, e viceversa. Alcune aree non sono raggiungibili, il centro città, Amala, Khartoum 2 Riad, Bakri al di là del fiume quasi mai si riescono a raggiungere. Attorno a noi ci permettono di operare».

Avete ricoverato persone ferite negli scontri?

«Non abbiamo ricoverato nessun ferito perché nessuno è venuto da noi. Devo anche dire che con l’Eid gli abitanti di Khartoum originari di altre città, raggiungono i parenti fuori. Questo avviene tutti gli anni, a maggior ragione in questa situazione. Una parte del Paese è nella morsa dei combattimenti, altre zone e altre città sono più tranquille. La nostra caposala, advert esempio, period in una situazione complicata nel suo quartiere rimasto senza elettricità, acqua e cibo con un bambino piccolo. Di notte è riuscita a tornare nella sua cittadina a cinque-sei ore a nordest della capitale, l’abbiamo sentita. Lì c’è elettricità, acqua e può rifornirsi, ci sono militari ma non ci sono combattimenti».

Si percepiva che la situazione sarebbe esplosa?

«Sapevamo che period un momento delicato. Il primo di aprile ci doveva essere la dichiarazione del nuovo governo con una forte presenza di civili, proprio come nel 2021 quando c’è stato il colpo di Stato. Eravamo consapevoli del momento delicato in un passaggio chiaramente caratterizzato da forte crisi economica e instabilità politica. Un salto da lì a questa situazione non ce lo immaginavamo».

Cosa sarebbe cambiato?

«Se avessimo avuto la percezione che stesse succedendo qualcosa di simile di sicuro avremmo aumentato i rifornimenti e ci saremmo regolati col personale. Quanto sta accadendo ci ha colto all’improvviso ed è il momento più difficile da quando Emergency opera in questo Paese, ovvero venti anni. Di sicuro, però, da questo ospedale, a meno di situazioni advert altissimo rischio, non andremo by way of».

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